Il trasporto aereo rappresenta la modalità di trasporto che genera maggiori emissioni per unità di merce trasportata. Secondo il GLEC Framework v3.1, le emissioni associate al trasporto aereo variano tra i 500 e i 700 grammi di CO₂ equivalente per tonnellata-chilometro, un valore nettamente superiore rispetto a tutte le altre modalità. Questo dato è spiegabile con una combinazione di fattori: l’elevata intensità energetica necessaria al volo, l’impiego esclusivo di combustibili fossili come il Jet A-1, e il basso peso specifico della merce trasportata, tipicamente merce ad alto valore, deperibile e trasportata in unità di carico di dimensioni ridotte.

Meno dell’1% delle tonnellate-chilometro globali (Eurostat) viene trasportato per via aerea, ma nonostante questa quota marginale nei volumi, l’impatto ambientale dell’aviazione risulta significativo proprio a causa dell’elevata intensità emissiva per unità trasportata. Ne deriva un apparente paradosso: una modalità di trasporto scarsamente utilizzata in termini di tonnellate-chilometro contribuisce in modo rilevante alle emissioni del settore logistico.

È utile inoltre distinguere tra voli domestici e internazionali: la quota di merci trasportata sui voli domestici è marginale, quindi si può ragionevolmente supporre che la quasi totalità di quell’1% sia costituita da traffico internazionale.

Anche dal punto di vista delle emissioni, questa distinzione tra voli domestici e internazionali complicherebbe ulteriormente l’attribuzione degli impatti. A ciò si aggiunge un elemento metodologico rilevante: circa l’80% delle merci viaggia su voli di linea passeggeri, e spesso rappresenta un utilizzo marginale della capacità di carico disponibile, senza influenzare significativamente il carico totale dell’aereo, che sarebbe comunque impiegato per trasporto passeggeri. Il peso della merce trasportata è infatti generalmente trascurabile rispetto al peso totale dell’aereo comprensivo di passeggeri e bagagli, rendendo difficile quantificare con precisione l’impatto effettivo del solo trasporto merci nel contesto dell’aviazione.

A livello globale, il trasporto cargo aereo genera circa il 5% delle emissioni della logistica, che a sua volta rappresenta circa l’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra (GHG) (GLEC Framework v3.1; Smart Freight Centre).

Per affrontare questa sfida, sono state introdotte diverse strategie a livello internazionale. Tra queste, l’inclusione del trasporto aereo nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione (EU ETS) rappresenta una leva regolatoria importante, volta a incentivare l’adozione di pratiche a minore impatto climatico attraverso segnali economici. Parallelamente, l’adozione di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF) è considerata una delle principali strade per la decarbonizzazione del settore. Tuttavia, l’effettiva diffusione dei SAF è ancora ostacolata da alti costi di produzione (fino a tre volte superiori rispetto al Jet A-1), volumi limitati e disponibilità ridotta negli hub aeroportuali principali.

Un ulteriore strumento innovativo è il meccanismo Book & Claim, descritto in specifici documenti dello Smart Freight Centre dedicati all’aviazione. Questo sistema consente di certificare l’uso di carburanti sostenibili anche se il SAF non è fisicamente utilizzato sul volo a cui viene attribuito il credito, superando così alcune delle attuali barriere logistiche legate alla distribuzione. Sebbene coerente con l’approccio del GLEC Framework, il Book & Claim è trattato in pubblicazioni tecniche separate dedicate alle misure basate sul mercato.

Un aspetto spesso sottovalutato è il ruolo del cosiddetto belly freight, ovvero il trasporto di merci nella stiva di aerei passeggeri. Questa prassi rappresenta un’opzione logisticamente efficiente, poiché consente di utilizzare lo spazio non occupato da bagagli e altri carichi passeggeri per il trasporto di merce, senza la necessità di operare voli cargo dedicati.

Dal punto di vista ambientale, il belly freight risulta generalmente meno emissivo rispetto al trasporto su voli cargo dedicati, proprio perché sfrutta voli già programmati per i passeggeri. Le emissioni attribuite a questo tipo di carico sono quindi “condivise” e non “addizionali”, e il trasporto merci ne beneficia marginalmente in termini di impatto climatico.

Tuttavia, gli attuali metodi di rendicontazione delle emissioni per tonnellata-chilometro possono non riflettere adeguatamente questa realtà. È quindi auspicabile che i futuri standard metodologici sappiano distinguere tra emissioni condivise e aggiuntive, valorizzando il contributo del belly freight come soluzione più efficiente dal punto di vista emissivo rispetto all’utilizzo di voli cargo dedicati.

In conclusione, il trasporto merci aereo, pur rappresentando una quota marginale dei volumi totali, ha un impatto ambientale significativo che richiede attenzione e interventi mirati. Strumenti come l’EU ETS, l’adozione dei SAF e il meccanismo Book & Claim offrono soluzioni promettenti, ma la loro efficacia dipenderà dalla diffusione su larga scala e da un adeguamento dei metodi di

rendicontazione. Una maggiore valorizzazione del belly freight e una migliore distinzione tra emissioni aggiuntive e condivise saranno essenziali per una valutazione più realistica e per incentivare pratiche logistiche a minore impatto climatico.

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